In Italia abbiamo una forte tradizione e cultura del “dire“. Sia del “dire come si deve fare” e dunque del diritto, sia del “dire del fatto” e dunque del giornalismo, sia, infine, del “dire per dire” e dunque del gossip e della polemica sterile.
La nostra natura “latina” molto probabilmente ci da questa naturale “predisposizione” che invece manca “per default” in molti dei popoli nordici campioni sulla capacità di far scalare le startup. Non è un caso che noi siamo grandi utenti di “skype” mentre gli originali sviluppatori sono a latitudini ben più alte delle nostre (scandinavia).
Siamo cosi portati come popolazione che chi si specializza in questo settore (scienza della comunicazione) arriva a livelli notevoli del “saper dire“: in convegni, con libri, su e con canali ordinari, digitali e cosi via.
D’altra parte una cosi alta focalizzazione nel “saper dire” impica necessariamente un “far fare” a chi “sa fare” che esclude un semplice “saper fare” che, soprattutto su questioni cosi tecniche ed innovative ad altissimo tasso di variazione del tempo, richiederebbero una attenzione specifica e focalizzata comprovata almeno da un “passato” in cui si è “fatto“.
E’ vero anche che il saper dire è condizione necessaria, comunque, per far sapere cosa si è fatto e in questo caso fatto fare. La politica, il consenso la leadership, l’autorevolezza sul campo rispetto ai “molti” presuppongono e richiedono necessariamente il “saper dire” e questa difficilmente è delegabile. Per fortuna questa è una dote sufficentemente diffusa alle nostre latitudini.
Il saper dire e soprattutto dire sui vari canali digitali e tradizionali, congressuali e bibliografici è pertanto sicuramente un elemento indispensabile nei posti di responsabilità.
La televisione è tipicamente un medium del dire e del comunicare e non a caso veniamo da una fase storica che l’ha vista come regina. Non è neanche un caso che siamo leader e campioni nel trovare nuovi format di comunicazione televisivi, cinematografici e similia. Format che tengano conto anche delle possibilità interattive ottenibili dall’accostamento dei nuovi medium digitali o telefonici.
2.) IL PRIMATO DEL FARE nel DIGITALE
Come già detto in un precedente posto su questo blog negli ultimi 10, 20 anni si è affermato con prepotenza e con una velocità esponenziale, dunque sempre maggiore, il mondo digitale che ha ormai “invaso” e compreso ambiti della società fino a poco impensabili. La propria reputazione sociale, la propria identità giuridica ed economica, i propri affetti, la nostra comunicazione passano sempre più per social network, firme digitali e PEC, conti bancari online, foto e filmati digitali, telefonate o messaggio via cellulare od internet. Ogni 18 mesi la velocità di trasmissione delle informazioni raddoppia a parità di costo e stesso circa dicasi per la capacità elaborativa. Questa digitalizzazione impressionante e rapidissima sta ridefinendo il mondo e quanto percepito come reale o “le cose” che lo popolano, lo spazio del possibile rendendo fattibile quello che fino a ieri non lo era e fino a qualche anno fa era addirittura impensabile!
Si frantumano le identità individuali nei tanti profili e nelle tante proiezioni digitali generando spesso contraddizioni e tensioni esplosive, nascono nuove “cose” con una anima digitale che segue una logica di “tutto in uno”, “uno in tutto”. In uno spazio inferiore ad una unghia possiamo avere sistemi di tracciamento o di riconoscimento delle persone e degli oggetti che interagiscono tramite reti senza fili con elaboratori centrali aventi milioni e milioni di dati generando una distribuzione ubiqua dell’intelligenza elaborativa.
Occhiali in realtà aumentata, orologi “smart”, palmari e telefonini, sensori per l’internet delle cose, etc….insomma il mondo si sta velocemente popolando di tutta una nuova serie di cose che segue una LOGICA del tutto differente da quella “tradizionale” delle cose fisiche fatte da atomi. Ad esempio nel mondo digitale cancellare è difficilissimo, copiare immediato. Garantire la massima autenticità e riservatezza implica moltiplicare e diffondere l’informazione nello spazio vicino a tutto ma lontano “nel tempo” con meccanismi di crittografia. Il costo basso è spesso sinonimo di qualità ed affidabilità. Tutte dinamiche non ovvie per chi è abituato alle cose fisiche tradizionali e ai sistemi di regolamentazione.
Pertanto “fare” nel mondo digitale richiede una forte specializzazione e formazione (ingegneria, informatica) che sono necessarie per capire e comprendere le logiche e dinamiche sottese .
Chi non le sa cogliere appare come un cieco in un mondo pieno di colori sgargianti e brillanti e rischia di esser solo abbagliato da “specchietti” opportunamente messi per “colpire”.
Il mondo digitale, infatti, ridefinisce ogni giorno lo spazio delle cose esistenti e delle azioni possibili che conviene “fare”.
Il “saper fare” non implica un non saper dire.
Il “saper fare” non implica il “fare” ma costituisce una condizione necessaria per il controllo dei tempi e soprattutto della spesa necessari per avere una “buona execution” oppure un buon “far fare“. Un delegare con piena responsabilità e cognizione dei parametri critici e delle condizioni necessarie per evitare “lock in” e dipendenze, schiavitù o asimmetrie informative da chi “sa fare“. Tale dialettica mi ricorda quella del “servo/padrone” dove il primo è si “servo” ma anche “libero” di “fare” come vuole in quanto “sa fare” e l’ultimo è si “padrone” ma invero è “schiavo” e dipende nella sua sopravvivenza dal primo in quanto non fa poichè non “sa fare”.
Internet e il mondo ICT è tipicamente un contesto dell’Esecuzione e dunque del FARE e non a caso abbiamo praticamente un export quasi nullo nel settore e siamo stati storicamente terreno di colonizzazione e vendita di soluzioni per lo più ideate, sviluppate e manutenute da realtà estere che traggono ampi spazi e deleghe grazie alla nostra cultura prima detta del “dire e saper dire“.
2.1) LE CRONICHE ARRETRATEZZE ITALIANE SUL DIGITALE ed i COSTI ALTISSIMI
Moltissime delle contraddizioni, degli insuccessi, dei problemi e delle arretratezze attuali derivano proprio da un approccio del “DIRE” ad un mondo che richiede persone esperte del FARE, che SAPPIANO FARE e dunque FAR FARE soprattutto nei posti di responsabilità vista la complessità e variabilità nel tempo del “digitale” che oseri dire in questo è assimilabile ad una serie di onde che possono esser cavalcate con un surf in modo attento da non esserne travolto (adozione troppo in anticipo di tecnologie spinte dai fornitori ma acerbe) ne rimanere troppo in dietro con la fatica di dover nuotare per muoversi senza sfruttare affatto la forza dell'”onda”.
Un approccio forte di delega e di “fare” attraverso il”far fare” senza passare in prima persona per il “saper fare o aver fatto” ha spesso portato al dilatarsi dei costi, al fallimento di molti progetti, alla fortissima dipendenza da molti fornitori che talvolta hanno impostoe richiesto per se la proprietà dei sorgenti software e dunque “de facto” rendendo impossibile la “concorrenza”. Ma magari, forse, ha aumentato la gratitudine generale.
La PA centrale e locale è piena di sistemi informativi che non comunicano, di fornitori che sono “de facto” in regime di “monopolio”. Di situazioni “fattuali” di “potere” che non possono esser scalfinte con un semplice “dire” ma che richiederebbero interventi chirurgici sofisticati di terzi che “sappiano fare“.
2.2) AGID e il ruolo di DIRETTORE GENERALE
Questa struttura che eredita i compiti delle sue precedenti fin a partire dall’AIPA ha da statuto tutta una serie di compiti e ruoli molto importanti e delicati connessi con la digitalizzazione della PA. Pertanto sicuramente è chiamata a svolgere un ruolo di “frontiera” e di “innovazione” facendo tutti i giorni i conti con le dinamiche suddette. Se ne analizziamo la storia e quanto fatto sicuramente ha avuto momenti di eccellenza nella dimensione dei DIRE del NORMARE ma molti soggetti si sono storicamente lamentati nella dimensione del FARE o dell’indurre effettivi cambiamenti. Qui non si vuole fare un “gioco” delle colpe e probabilmente la stessa struttura AGID ha subito nel suo dimensionamento della contraddizione appena detta nel punto precedente. Tantissimi compiti e doveri dal punto di vista “normativo”, minime ed inadeguate risorse economiche ed umane rispetto agli impegni. Ai sensi dello statuto il Direttore è chiamato ad attuare con le tecnologie le linee di indirizzo del Comitato da lui presieduto e pertanto deve saper fare e nuotare in questo contesto “digitale”. Anche per poter “far fare” bene nei tempi e nei costi.
3. L’OBIETTIVO PRIMARIO DEL FARE E DELL’INNOVARE CAMBIANDO
In sintesi, ritornando al titolo di questo post da “caffè IT” sul primato del DIRE e del FARE nel DIGITALE possiamo dire che molto dipende dall’obiettivo che ci si pone e dal contesto in cui si opera.
Se il contesto è prevalentemente “digitale” e l’obiettivo è quello di cavalcare e dominare le onde e le grandi economie di scala delle principali innovazioni su scala mondiale la competenza digitale e il SAPER FARE è una condizione “sine qua non”. Altrimenti il disastro economico e non solo.
Ad esempio un approccio comunicativo o giuridico al vertice per risolvere un problema di perseguimento della evasione fiscale immobiliare potrebbe incaricare un consulente esperto del fare o delle società tecniche per il tracciamento aereo del territorio, società che sarebbero molto liete di farlo con grande plusvalenza magari in accordo con il consulente solo apparentemente indipendente con aggravio di costi di progetto e gestione della soluzione nel tempo NOTEVOLISSIMI. Occorre, in teoria, far alzare degli aerei, degli elicotteri, fare le foto, aggregarle, organizzare, etc. Ovviamente il profitto privato è fondato e proporzionale all’asimmetria informativa fra fornitore e committente.
Altrimenti un approccio del SAPER FARE al vertice di persona che conosce le dinamiche e le economie di scala ordina al personale sottoposto di utilizzare le mappe di Google e magari anche quelle di Apple e di altri a “contro prova” per verificare l’evasione esistente con l’azzeramento di tempi e costi di molte fasi del progetto.
Qui l’esempio è volutamente “ovvio” affinché fosse facilmente comprensibile ma quando le questioni sono molto più tecniche e si parla di programmi sorgenti, compilati, documentazione, algoritmi etc se il vertice non ha avuto una solida formazione tecnica e digitale difficilmente potrà colmare l’asimmetrica informativa suddetta e dunque i costi e i tempi del progetto.
In sintesi si è fortemente convinti che se si vuole finalmente innovare la PA e il sistema ITALIA occorre cambiare l’approccio e il mix DIRE/FARE selezionando persone ai vertici “abilitate” (1) e tecniche con grandi capacità comunicative e non viceversa. Il rischio è grande, in termini di costi, di maggiore dipendenza dai fornitori, in opportunità perse per creare un ecosistema nazionale favorevole allo sviluppo del digitale.
Francesco Marinuzzi
Nota (1) La formazione accademica formale per il mondo digitale può essere ingegneristica o informatica, tant’è che entrambe abilitano all’esame, appunto, dello STATO, per il settore dell’ingegneria dell’Informazione ai sensi del DPR 328/2001