Dove andrà il valore dei produttori di auto. E, in parte, delle città.

Ci sono settori veloci e settori lenti. Nel cambiamento. Per tanti anni i televisori sono sostanzialmente rimasti gli stessi. Più o meno grandi con le dovute eccezioni carissime ed esclusive. Poi tutto è cambiato. Son diventati “digitali”. Si son subito dimagriti fino a diventare piatti, quasi filiformi, come una impasto quadrato della pasta o della pizza steso da un potente mattarello. Adesso iniziano anche a diventare curvi. E’ diventato normale cambiarli spesso. I prezzi sono crollati e si comprano 52 pollici a meno di 1.000 euro. Impensabile fino a 5, 10 anni fa quando i prezzi erano circa 10 se non 20 volte maggiori.

Questo esempio, appena fatto, ci dice meglio di 1000 parole quanto possa essere “disruptive” l’innovazione digitale in un settore “tradizionale”. Soprattutto quando inizia a fare “sul serio”. Viene il tempo per ogni frutto. Il suo tempo. Prima è acerbo, dopo è sfatto. Adesso sta per iniziare il tempo del settore auto. Finiremo tutto su un tappeto volante? No.

Fino ad oggi l’auto ha trovato il suo valore in poche e classiche dimensioni. Potenza, bellezza, economicità, funzionalità e, soprattutto, simbolo e significato.

E’ stata considerata una estensione, una parte dell’identità del proprietario che, infatti, spesso la usa per somatizzare i suoi conflitti senza ferirsi. La sicurezza, infatti, è diventata elemento strutturale e oggetto di specifici “crash test”. Airbag, longheroni, anni luce rispetto alle prime auto.

Ma l’auto, invero, vive sulla strada. Anzi è, oggi giorno, la regina della strada e delle strade. Purtroppo. Auto ovunque, sui marciapiedi, in doppia fila, incolonnate, sfreccianti o ferme al semaforo. L’aria delle città ne ha risentito. Ma soprattutto l’estetica e la vivibilità degli insediamenti urbani. Oggi chi vuole innovare nell’urbanistica le mette sottoterra sia ferme che in moto. Con un bel giardino pensile sopra aperto alle persone e alla mobilità leggera. Bici, skateboard, e altre amenità simili, più o meno elettriche.

I beni archeologici sepolti le respingono, gli ingorghi intossicano i poveri guidatori sottoterra. Le soluzioni diventano difficili e figlie dei compromessi. Rigurgitano in superficie come l’acqua torbida in lavandini intasati.

L’auto e la strada. Un rapporto ancora non capito e pienamente compreso.

Dai decisori delle città: urbanisti, pianificatori, amministratori pubblici. Dai manager delle società automobilistiche. Intanto i modelli iniziano a cambiare sempre più velocemente. Soprattutto nei segmenti più esposti alla digitalizzazione. Per ora quelli più costosi.

I decisori pubblici cercano di bandirle e cacciarle via dalle strade. I decisori privati cercano di ficcarle sempre più nelle teste, nello spazio delle emozioni.

Surrogate di partner assenti o perdenti. Si bandiscono perché le strade sono del centro storico, perché hanno troppe emissioni, semplicemente perché chi vuol circolare deve pagare un dazio o un pass. Tutti i motivi sono buoni. Con i costruttori all’angolo, sulla difensiva. Vittime della contraddizione del dover vendere un bene rifiutato o comunque solo sopportato e non anelato dalla sua naturale metà, la strada, diventano sensibili alle melodie dell’inganno capace di risolvere subito i conflitti e talvolta vi cedono. Le condanne son state pesanti.

La perdita di valore dell’inganno delle emissioni è stata di decine di miliardi di dollari. In 2 anni. E non è finita. Soprattutto se parte il danno punitivo

Non facciamo i nomi perché son già noti a tutti. Ma, sembra, che gli inganni delle emissioni erano forti. Non pochi punti percentuali ma il doppio dei valori denunciati. Tutti stimolati a cambiar macchina per avere l’ultimo modello che ti permette di non incappare nei blocchi periodici di mobilità delle domeniche o giornate ecologiche, per poi scoprire l’inganno. Sinergico per le vendite e con le politiche ecologiche.

La mano pubblica demonizza e vieta con ordinanze improvvise, in funzione dei valori di CO2 le auto sulle strade se non molto recenti. E’ la legge. Ma è anche vero che troppo spesso non si focalizza e creare i presupposti per una mobilità alternativa, di gruppo, verde, ecologica. A Roma non ci sono bici perché le rubano. Anche a Piazza di Spagna alle 17 del pomeriggio davanti a 3 ambasciate. Poi anche perché è pericoloso. Ma quello è secondario. E una bici elettrica non è poi cosi tanto più sicura di un motorino. Ne abbiamo più di mezzo milione a Roma. Di motorini. Le bici in giro, invece, si contano sulle punta delle dita. Meteore in attesa di esser rubate.

Ma non è possibile un altro rapporto fra strada e auto meno conflittuale e più sinergico?

E dire che di spazi di ottimizzazione e miglioramento ce ne sono. E tanti. Solo il fatto che l’auto sta ferma per il 90% del tempo la dice lunga. Spesso, addirittura ferma lungo la strada, parcheggiata. Levando ulteriore capacità di flusso alla strada. Su questi presupposti son nati e stanno fiorendo mille iniziative, potenziate da piattaforme digitali, per la condivisione e sharing dell’auto a livello privato individuale o aziendale.

Un nuovo valore dell’auto poteva essere dato dal servizio erogato. Anzi dalla sua qualità. Versatilità. Flessibilità. Apertura. Trasparenza. Su questo Uber, intanto, ha creato un valore di più di 50 miliardi di dollari. In pochi anni.

Nel 2008 non esisteva. Ma non ha cambiato lo scenario cittadino. Son troppe poche le auto e troppe le resistenze, comprensibili. Il servizio pop è stato dichiarato, qui, illegittimo. Dal tribunale. Dal 2015. Punto.

E allora? Allora ecco spuntare i grandi costruttori di auto. I principali. Quelli che di fatto presidiano, occupano, definiscono le strade delle città del mondo. Solo perché ci sono con le loro auto. Che sono tante. Milioni. Già presenti. Ora.

I grandi costruttori delle auto hanno un tesoro nelle mani e non lo sanno. Il vero valore delle loro auto sono le strade! Che presidiano e riempono. Ogni giorno e ancora per un po’.

Pensano alla pelle, ai rivestimenti, al design, alla potenza. All’esperienza d’uso dell’auto: Devono andare oltre. E’ una questione culturale ma essenziale. Per la sopravvivenza.

Le città stanno diventando sempre più smartcity e le auto sono il naturale elemento di ” sensing” delle strade delle nuove città.

Dinamico e statico. Cosi come ora sono gli smartphone il cui vero valore è dato dai dati che producono. Non per noi. Ne per i produttori dei telefonini. Ma per i detentori dei sistemi operativi e delle applicazioni installate. In parte per gli operatori mobili. Soprattutto per i player mondiali, Google. Facebook. Apple. Etc. Dati nostri, dati comportamentali, dati dell’ambiente che ci circonda, foto, audio, movimenti, accelerazioni, battiti del cuore.

Si ha anche un ottimo alibi. La guida senza conducente. Che poi in termini di spazio emotivo qualcuno me lo spiegherà che significa e come può diventare migliore di una casa o di un punto fisso. Sensori di tutti i tipi verso l’esterno. Verso le altre auto. Verso gli altri telefonini o apparati attivi, Telecamere e visori verso la strada. Il tutto elaborato in tempo reale. In primis per ridare il succo e l’estratto all’auto stessa, in tempo quasi reale, nell’ottica della sicurezza, della guida autonoma o assistita. Di poi per costituire una scena replicata ed eterna della strada. Statica e Dinamica. Dicevo e ripeto. Per una cartografia e mappa precisa al millimetro continuamente arricchita in crowdsourcing e in tempo reale dalle migliaia di sensori e visori. Per una informazione continua sullo stato dei parcheggi sulle strade, se liberi, occupati o in procinto di esser resi liberi. E si potrebbe o dovrebbe continuare. Molto. Informazioni preziose, infinite che possono generare tantissimo valore in sinergia pubblico/privato.

Alcuni iniziano a vedere questi filoni di valore. Now and Here 😉 ma i molti, soprattutto nostri non sembrano ancora cogliere la visione totale e dialettica fra strada e auto.

Il futuro del valore dei costruttori di auto passa per il sensing delle strade che ogni giorno occupano con i loro prodotti

Il tempo per il post è finito. Ma si potrebbe e dovrebbe continuare. Soprattutto congiuntamente fra pubblici e privati. Soprattutto con chi gestisce lo spazio, la strada. E poi con chi i mezzi , le auto. Per passare all’azione.